La gioia di non essere sempre all’altezza: libertà dal mito della perfezione
Viviamo in un’epoca che sembra celebrare la velocità, la produttività e l’efficienza come valori assoluti. “Devi dare il massimo”, “devi migliorarti”, “devi essere il migliore”: queste sono le frasi che risuonano dentro di noi fin dall’infanzia, e che poi si fanno eco nella nostra mente ogni giorno. Una voce sottile, ma insistente, che ci accompagna ovunque: al lavoro, nelle relazioni, persino quando scorriamo distrattamente un social network, sommersi da immagini di vite perfette, successi smaglianti, sorrisi impeccabili. Questo senso di dover sempre essere all’altezza ci porta spesso a sentirci inadeguati, perché non riusciamo a mantenere quel ritmo serrato e quel livello di eccellenza che la società – e a volte anche noi stessi – pretendono. Così finiamo col credere che valiamo solo quando siamo al top, quando raggiungiamo gli obiettivi, quando non commettiamo errori. La verità, però, è un’altra: la vita vera non è un palcoscenico su cui recitare la parte del perfetto, né una gara in cui arrivare primi a tutti i costi. La vita è fatta anche di giornate storte, di stanchezze, di dubbi e incertezze. È fatta di momenti in cui ci sentiamo fragili, di cadute e di risalite. Momenti in cui semplicemente non ce la facciamo. E va bene così. Anzi, va bene proprio così.
La filosofia Sempreunagioia ci insegna a riscoprire la bellezza profonda dell’imper-fezione. È proprio nella crepa, in quella piccola frattura che a prima vista può sembrare un difetto, che entra la luce. È lì che nasce una gioia diversa, più autentica, più profonda e soprattutto più nostra. Perché la perfezione è un ideale astratto e irraggiungibile, mentre l’imperfezione ci rende umani, ci rende veri.
Non essere sempre all’altezza non è una colpa o una mancanza, ma una condizione naturale. Nessun fiore fiorisce tutto l’anno; nessuna onda del mare è sempre alta; nessun cuore può battere incessantemente al massimo ritmo senza prendersi una pausa. Riconoscere i propri limiti, accogliere la propria vulnerabilità, è un atto di coraggio e di amore verso se stessi. È un modo per dirsi che va bene non essere perfetti, che va bene essere anche un po’ stanchi, un po’ insicuri, un po’ lontani dai propri standard abituali.
In una società che ci vuole sempre vincenti, sempre efficienti, mostrarsi autentici e fragili è un vero atto di ribellione. Dire a se stessi – e magari anche agli altri – “oggi non ho tutte le risposte, ma ci sono”, oppure “oggi non sono al massimo, ma sono qui, con tutto me stesso”, è una forma altissima di dignità e di libertà. È un modo di essere che ci permette di vivere in modo più leggero, meno affannato, più in sintonia con i nostri ritmi e bisogni profondi.
La gioia vera, quella che riempie il cuore e ci fa sentire vivi, non ha bisogno di performance. Non ha bisogno di maschere o di vittorie apparenti. Fiorisce nei piccoli gesti di gentilezza verso se stessi, nelle parole di conforto che ci diciamo, nel permesso che ci diamo di rallentare, di sbagliare, di non essere perfetti. Spesso è proprio nei giorni in cui ci sentiamo più fragili che impariamo le lezioni più importanti: impariamo che possiamo farci compagnia anche senza dover brillare, che possiamo essere amati anche nei nostri silenzi, che possiamo vivere pienamente anche quando non siamo al nostro meglio.
Accettare la propria imperfezione significa tornare alla semplicità della vita, a quella bellezza spontanea che non ha bisogno di filtri o di apparenze. Significa imparare a godere di un abbraccio, di un momento di quiete, di una risata leggera anche quando tutto sembra complicato. È riconoscere che il valore di una persona non si misura in base a ciò che fa o produce, ma semplicemente per il fatto che esiste, con tutte le sue sfumature. Forse la vera felicità non si conquista con uno slancio perfetto, ma si scopre nel cammino, nei momenti in cui inciampiamo e ci rialziamo con un sorriso. Forse la gioia più autentica nasce proprio nei giorni in cui ci sentiamo “meno”... e invece ci permettiamo di essere di più. Di più in ascolto, di più in connessione, di più in verità con noi stessi e con gli altri.
E se non essere “sempre all’altezza” fosse proprio il modo più vero per ritrovare il contatto con la vita? Quando smettiamo di inseguire un ideale irraggiungibile, iniziamo finalmente a guardarci con occhi nuovi: occhi che non misurano o giudicano, ma accolgono e comprendono. Occhi che si commuovono di fronte alla nostra umanità.
C’è una libertà nuova che si apre quando lasciamo cadere le maschere e restiamo nudi di fronte a noi stessi. E proprio lì, dove ci sentivamo “insufficienti”, scopriamo la possibilità di una tenerezza diversa, che non premia per i risultati, ma ci abbraccia semplicemente perché esistiamo.
Non c’è niente da dimostrare, nessun punteggio da raggiungere. Solo un’esistenza da vivere, un passo alla volta, con tutta la nostra imperfezione luminosa.
E allora sì, possiamo dire che
non essere sempre all’altezza è un dono.
Un dono che ci permette di toccare la vita con più leggerezza, con più dolcezza, con più grazia. E soprattutto… con più gioia.
Sempreunagioia









